Julien
Benda (1867-1956), partendo dalla prova esemplarmente positiva data da molti
intellettuali francesi in occasione dell’affaire Dreyfus e da quella invece
molto deludente data dagli stessi durante la Prima Guerra Mondiale, pubblicò Il
tradimento dei chierici (1927). Questo pamphlet, divenuto poi famosissimo,
rimane ancor oggi “uno dei testi centrali della discussione sulla posizione
degli intellettuali nel nostro secolo”. Per Benda l’intellettuale deve essere
il “custode dei valori”, al servizio degli universali (la ragione, la verità,
la giustizia). I tempi moderni invece ci mostrano gli intellettuali cosí
coinvolti nella politica da agire come la “milizia spirituale” del potere. In
questa lettura egli osserva che per i “chierici moderni” è l’utile della causa
che deve indicare il vero. L’utile è poi coincidente con ciò che detta la
passione politica o la parte politica di cui l’intellettuale si è messo al
servizio. Ma non è questo che la tradizione filosofica ha insegnato.
J. Benda, La Trahison des clercs [Il
tradimento dei chierici, 1927]
Credo che molti di coloro che sto qui accusando di venir meno al loro ministero spirituale, all’attività disinteressata che annunciano quando diventano storici, psicologi, moralisti, mi risponderebbero se simili confessioni non ne rovinassero il credito: “Noi non siamo affatto al servizio del potere spirituale; siamo al servizio del potere temporale, di un partito politico, di una nazione. Solo che invece di servirli con la spada, li serviamo con gli scritti. Siamo la milizia spirituale del potere temporale”.
[...]
Ma la cosa piú stupefacente del chierico moderno, in questa volontà di inserire la passione politica nella propria opera, è di essere riuscito a farlo con la filosofia, e piú precisamente con la metafisica. Si può dire che fino al XIX secolo la metafisica era rimasta la cittadella inviolata della speculazione disinteressata; tra tutte le forme del lavoro intellettuale era quella a cui poteva essere reso il mirabile omaggio che un matematico rendeva alla teoria dei numeri tra le varie branche della matematica, quando diceva: “Questa è la branca veramente pura della nostra scienza, voglio dire non contaminata dal contatto con le applicazioni”. E infatti, non solo pensatori che si sono liberati da qualsiasi predilezione terrena, come un Plotino, un Tommaso d’Aquino, un Cartesio o un Kant, ma pensatori profondamente convinti della superiorità della loro classe o della loro azione, come un Platone o un Aristotele, non hanno mai pensato di orientare le loro considerazioni trascendenti verso una dimostrazione di tale superiorità e della necessità per l’universo di accettarla. La morale dei filosofi greci, si è detto, è.“nazionalitaria”; la loro metafisica è universale. La Chiesa stessa, cosí spesso favorevole agli interessi di classe o di nazione nella sua morale, non conosce piú che Dio e l’Uomo nella sua metafisica. Doveva toccare al nostro tempo di vedere dei metafisici, e della piú nobile stirpe, rivolgere le loro speculazioni all’esaltazione della propria patria e alla denigrazione delle altre, e venire a rafforzare, con tutta la potenza del genio dedito all’astrazione, la volontà di dominio dei loro compatrioti. Si sa che Fichte e Hegel pongono come termine supremo e necessario allo sviluppo dell’Essere il trionfo del mondo germanico, e la storia ha dimostrato se l’atto di questi chierici ha prodotto o meno degli effetti nell’animo dei loro laici. Ci affrettiamo ad aggiungere che un simile spettacolo di una metafisica patriottica è fornito solo dalla Germania. In Francia, e perfino nel nostro secolo di chierici nazionalisti, non si è ancora visto un filosofo, almeno tra quelli da prendere sul serio in tale veste, redigere una metafisica in gloria della Francia. Auguste Comte, Renouvier o Bergson non hanno mai pensato di presentare l’egemonia francese come necessario punto di arrivo del divenire del mondo.
J. Benda, Il tradimento dei chierici,
Einaudi, Torino, 19762, pagg. 116-118